“Proverò ad ascoltare tutti i consigli che mi darete, dimostrando insieme che occorre credere nella cultura per ricostruire il Paese”. Poche parole, affidate da Massimo Bray a un canale che di parole ne vuol sentire poche, come Twitter, per mandare il suo primo messaggio da ministro alla Cultura. Parole che non possono non risuonare come musica di violino per Firenze, che certo non mancherà di usarle come leva per scardinare le casse dello Stato, forse troppo avare di risorse con una città che di cultura vive ma ha grande bisogni di aiuti da Roma per sistemare una serie di questioni aperte. A cominciare da quella del Maggio Musicale e dei suoi problemi economici, per passare a quella del nuovo parco della musica, ancora incompiuto; senza dimenticare il cantiere dei Grandi Uffizi, che ha bisogno assoluto di una accelerata. E finendo con le difficoltà attraversate dalle fondazioni e i vari enti culturali, in cronica ristrettezza, tra cui l’Accademia della Crusca. Questioni che prima o poi finiranno sulla scrivania di Bray, il quale per fortuna, nonostante sia un nome che nessuno aveva inserito nella lista dei papabili alla vigilia della nomina, ha un legame piuttosto stretto con Firenze, visto che qui da noi è arrivato dalla sua Lecce per studiare e si è laureato in Lettere e Filosofia nel1984, a25 anni, prima di trasferirsi altrove e prima di diventare direttore dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, dove fece il suo ingresso come redattore responsabile della sezione di Storia moderna dell’Enciclopedia La Piccola Treccani. Chissà che dunque non sia rimasto intatto un sottile filo rosso con la città in grado di rendere più facile un confronto su necessità e obiettivi da raggiungere. Già, perché qui si tratta di scegliere la via da percorrere, indicare le priorità visto che tutto non è finanziabile e badare a finalizzare le risorse disponibili a progetti con gambe in grado di farli stare poi in piedi da soli. In questo senso bisognerà anche pensare a tracciare un percorso per il parco della musica, che se non vissuto e sfruttato a pieno rischia di diventare una nuova costosa cattedrale nel deserto, o per meglio dire nel bosco, quello delle vicine Cascine. E ancora pensare a nuovi rapporti con i privati che vadano oltre le richieste di contributi a fondo perduto, che ci sia un profilo di redditività e si parli di impresa anche in termini culturali.
“Prima di pensare a un Ministero della Cultura o ad altre strutture è bene essere consapevoli che la priorità deve essere quella di indicare degli obiettivi chiari, realizzabili. Non ho ricette miracolistiche per togliere il paese dalla situazione in cui si trova – bloggava lo stesso Bray prima ancora di immaginare di diventare ministro – ma credo che la cosa migliore sia quella di studiare con attenzione le situazioni più critiche e adottare provvedimenti per porvi rimedio. Il primo intervento dovrà essere rivolto alla scuola e all’università, per ridare dignità a chi ci lavora, strumenti a chi fa ricerca, contenuti e innovazione a chi studia; ai musei, alle biblioteche, agli archivi, presidi di una memoria storica che va recuperata e pilastri della costruzione dell’identità del Paese, oggi mortificati dagli effetti dei ripetuti e consistenti tagli di bilancio e di personale. Occorrono impegni e interventi concreti per valorizzare le professioni specifiche, un numero cospicuo di risorse finanziare che consentano di far ripartire la ricerca, la formazione. Non c’è futuro, infatti, per un paese che non sa prendersi cura delle testimonianze del suo passato, porre freno alla devastazione del suo territorio, tutelare il patrimonio artistico di cui è custode e la cui salvaguardia deve diventare il segno di un profondo cambiamento nelle scelte di governo”. Belle parole, come tante altre che abbiamo sentito però. Il problema è che le risorse scarseggiano, sempre. Il punto allora è: esiste un caso Firenze, così come secondo Bray esiste un caso Pompei da risolvere con priorità assoluta? Esiste la possibilità di un fondo speciale, come per Roma e Venezia? Se non è così non resta che rimboccarsi le maniche e salvare il salvabile, guardandosi attorno alla ricerca di investitori. Che so: alla prossima coppia di facoltosi fidanzati che ci chiede una piazza in cui organizzare il buffet nuziale per amici e parenti potremmo proporre di sponsorizzarci un museo, o un allestimento del Maggio. Un mecenatismo di circostanza, occasionale, che però forse è meglio che bussare sempre alle solite porte. (Maurizio Abbati)