Chiudere, finché si può. Per evitare di restare intrappolati nei debiti. Perché di lavoro non se ne vede. Anche se questo significa mandare a monte tutto. Capita sempre più di frequente in questi ultimi tempi alle nostre imprese, nel vortice della crisi. Il basso volume dei consumi e la staticità del mercato interno alimentano uno stato di sofferenza diffuso, che si traduce in ulteriori chiusure e situazioni finanziarie di crisi. I dati della Camera di commercio relativi al terzo trimestre 2014 parlano di un aumento del numero delle imprese con procedure concorsuali in atto: +7% rispetto a un anno prima (da 2.195 a 2.234), mentre sono 6.059 le imprese in scioglimento o liquidazione. Notevole il dato delle imprese che hanno avviato nel corso del 2014 una procedura fallimentare, aumentate in un anno del 15,2% (250 in tutto). Solo nell’edilizia, nell’ultimo anno nell’area fiorentina sono 130 le imprese che hanno chiuso, di cui 30 negli ultimi 3 mesi. In tutto questo un suo peso non indifferente lo ha la pressione fiscale, che secondo alcuni dati della Cgia di Mestre dal 1980 ad oggi sarebbe aumentata di 12,6 punti percentuali. Ma il problema maggiore resta quello del crollo del volume d’affari. Sempre per l’edilizia basti pensare che nei primi sei mesi dell’anno il valore dei bandi di gara in Toscana ha subito una contrazione di quasi un terzo rispetto allo stesso periodo del 2013. Nel commercio continuano invece a diminuire le vendite al dettaglio: nel primo trimestre si è registrato un -2,9%, e questo dopo che il 2013 si è chiuso con un -5,3%. Nell’industria, secondo i dati Movimprese, nel primo semestre 2014, il saldo tra imprese iscritte e cancellate è stato del -0,8% e i volumi della produzione manifatturiera restano in negativo dal quarto trimestre del 2011, quindi dieci trimestri di fila, anche se il crollo non ha mai raggiunto i livelli paurosi del 2009, quando si arrivò al -20% sul dato precedente. La compravendita delle abitazioni infine si è praticamente dimezzata nel corso degli ultimi dieci anni. Quello che serve è dunque il lavoro, e in questo senso appare determinante ridurre i costi produttivi per stimolare gli investimenti, evitando che il Pil precipiti. Serve un taglio della spesa pubblica a favore di investimenti mirati a generare ricchezza, che i proventi del prelievo fiscale vengano utilizzati per ridare respiro all’economia. Serve restituire fiducia, ma non una fiducia cieca. Di bocconi amari ne abbiamo ingoiati abbastanza. (Ma.Ab.)