Comuni verso la fusione
Ma con quali garanzie? In Toscana potrebbero scendere da 287 a 51. Ma i cittadini temono di veder ridotta la qualità dei servizi

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La Toscana è terra di campanili. Ma non è solo questo a rendere difficile il processo di armonizzazione politica e amministrativa del territorio, che deve ormai prevedere una riduzione degli enti locali presenti. Meno sindaci, meno palazzi, meno organismi. E soprattutto meno spese di gestione. Ma anche maggiore omogeneità nelle decisioni urbanistiche, assistenziali, tributarie. Di questo i cittadini devono esserne consapevoli. Allora perché quando si va a proporre un referendum per la fusione dei piccoli comuni capita che in buona parte dei casi si finisca per fare un flop? Perché si teme che la perdita dell’identità comunale si traduca in un peggioramento della qualità dei servizi. Insomma, con chi me la prendo poi se le cose non vanno? Adesso è facile, perché tutto è sotto casa e tutti si conoscono. Ma poi? Una sfiducia che ha un suo senso logico, perché raramente finora gli amministratori pubblici hanno favorito forme di integrazione. E ora, di punto in bianco, si vorrebbe una svolta. Senza garanzie.

Eppure di vantaggi ce ne sarebbero eccome, se tutto venisse gestito come si deve. Con le fusioni di Comuni in Toscana, secondo l’Irpet,  si potrebbero risparmiare da 150 a 200 milioni di euro l’anno: fino ad un quinto cioè delle spese di funzionamento, dirottando quelle risorse su nuovi servizi per cittadini e imprese. Ma quali Comuni dovrebbero essere unificati? La dimensione ottimale di un Comune, anche se da considerare non c’è solo il fattore demografico, non dovrebbe mai scendere sotto i 20-30 mila abitanti. Quindi la strada sarebbe accorpare fino a raggiungere questa soglia.

Per risparmiare da 150 a 200 milioni l’anno sui cosiddetti costi espliciti, che solo in parte riguardano la politica e molto di più hanno a che fare con l’organizzazione degli uffici e la burocrazia (e con le economie di scala che da piccoli non si possono attivare) si dovrebbero però creare comuni molto più grandi degli attuali: secondo le simulazioni dell’Irpet da 51 a 34 al posto di 287, che dopo i referendum che ci sono stati dalla primavera alla scorsa settimana e in cui hanno prevalso i sì già si ridurranno comunque dal 2014 a 279. A questo si sommano i costi impliciti. Si tratta dei costi legati allo sviluppo a cui si rinuncia quando il Comune è troppo piccolo o non ha competenze adeguate, quando i tempi si allungano perché per andare avanti è necessario l’accordo di altri Comuni o di altri enti.

Certo sarebbe una rivoluzione. Pensate che a Grosseto potrebbero rimanere 4 o 8 comuni al posto di 28, solo a prendere in considerazione una suddivisione legata alle attuali zone socio sanitarie. Grosseto si allargherebbe a Campagnatico, Castiglion della Pescaia, Cinigiano, Civitella Paganico, Roccastrada e Scansano. Nascerebbe un comune delle Colline metallifere con Follonica, Gavorrano, Massa Marittima, Montieri, Scarlino e Monterotondo Marittimo: altri otto comuni in uno per le Colline dell’Albegna (Capalbio, Isola del Giglio, Magliano in Toscana, Manciano, Monte Argentario, Orbetello, Pitigliano e Sorano) e sette per l’Amiata Grossetana (Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano e Semproniano).

Ma non basta chiedere il consenso dei cittadini. Bisogna anche far capire loro che i servizi odierni non peggioreranno. Anzi. Disposti a dare questa garanzia? (M.Ab.)

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