Di cultura si mangia. Ma quante bocche da sfamare Calano gli sponsor e i trasferimenti. I biglietti possono bastare a far pari? Il caso del Maggio è emblematico

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Il problema del Maggio Musicale riposiziona l’accento su un dibattito mai chiuso ma sempre rinviato, almeno nella ricerca di soluzioni: quello del finanziamento della cultura. Nessuno pensa che arte, musica, letteratura e persino teatro, si possano sostenere da sole, contando solo sugli introiti derivanti dai biglietti staccati. Anche se cercare di per farlo si punta spesso su stagioni in equilibrio tra esigenze artistiche e la necessità di fare cassetta, mirando a un pubblico più grande di quello che con le sole ragioni della qualità a volte non si riuscirebbe a raggiungere. Nel solo 2012, ha spiegato il commissario Bianchi, gli spettatori presenti agli spettacoli del Maggio sono di fatto dimezzati, passando da 240 a 112mila, per colpa essenzialmente del minor numero di serate, ma anche per tutta una serie di fattori che non bisogna dimenticare, come l’effetto crisi, l’attrazione di forme diverse di intrattenimento, lo scarso coinvolgimento della città in tutte le sue componenti che purtroppo appare evidente. Un aspetto su cui bisogna lavorare, anche apportando modifiche alla stagione e pur tagliando i costi di produzione, con i soli spettatori difficilmente si può però pensare di raggiungere l’equilibrio finanziario, soprattutto per la lirica. D’altronde, il mecenatismo “puro” non è più di moda, e in fondo direi che apparirebbe anche fuori luogo in un contesto economico come quello attuale che vede imprese travolte dalla crisi e migliaia di lavoratori perdere i loro posti. I conti del Maggio lo dimostrano, visto che i proventi degli sponsor risultano diminuiti di 200mila euro, malgrado l’impegno del Comune e della Regione, ma anche della Provincia, che non si è chiamata fuori nonostante le incertezze che pesano sul suo futuro prossimo e la sua exit strategy da tutte le partecipate. Infine, calano in modo precipitoso le risorse trasferite dallo Stato. Ed è un problema che non riguarda solo Firenze. La Scala di Milano ad esempio ha visto i fondi pubblici ridursi da 116 a 43 milioni ed è stata costretta a sua volta a tagliare le opere in cartellone, portandole da 13 a 10. Bisognerà dunque mettersi attorno a una tavolo per definire nuove strategie di fundraising, puntando soprattutto sulla confutazione del precetto che la cultura non paga e che di cultura non si mangia. Si tratta di capire piuttosto quali sono le nuove modalità di fruizione e com’è cambiato il concetto stesso di cultura. E’ arido ripetersi che le giovani generazioni non ne consumano più, anche perché la verità è l’esatto contrario. Solo che i giovani per definizione non possono adattarsi alle forme di cultura dei genitori come una volta ci si passavano gli abiti smessi. Ma sono loro il pubblico di oggi e di domani, perché non misurano le uscite serali e investono in cultura molto più delle altre generazioni, a parità di spesa complessiva media. C’è un solo problema: possono scegliere e l’offerta è quanto mai varia. Il mondo della cultura è un luogo affollato, dove la competizione – come in ogni settore produttivo – è alta: solo chi riesce a posizionarsi sul mercato può sopravvivere. (Maurizio Abbati)

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