Di cultura si vive, eccome
Ma bisogna riuscire a coltivarla Pochi gli spazi per l’espressione autonoma giovanile. Ticket troppo alti. E i teatri spengono le luci

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Di cultura non si vive. Vecchio adagio, facilmente smentibile. Basti vedere Firenze, con i suoi milioni di turisti all’anno, senza con questo perdersi nei numeri che si rincorrono, poiché un discorso sono le presenze alberghiere dichiarate e i visitatori registrati ai musei, un altro il numero di scarpe che calpestano il suolo sacro, all’arte ovviamente, del centro storico. Firenze di cultura vive eccome. Di cultura e delle sue testimonianze vecchie ormai di quasi duemila anni vivono hotel, ristoranti, commercio, bus, treni, aerei, taxi e perfino il Comune, solo in parte però, grazie alla tassa di soggiorno. Tutto ciò significa migliaia di posti di lavoro, considerando quanto a questi settori ruota attorno. Ma una città di cultura deve saper pur fare una scommessa su quella che ormai si prefigura come una delle sue principali fonti di reddito. E invece Firenze appare un po’ restia in tal senso. Mostra di avere il “braccino corto”, come si dice dalle nostre parti, cioè di non saper investire. Soprattutto in prospettiva futura.

Musica, letteratura, arti grafiche: Firenze è capace di attrarre un gran numero di giovani che la scelgono per formarsi professionalmente. Giovani presenze che dovrebbero contribuire a formare un microclima culturale che invece non c’è. Mancano i concerti, le mostre, le performance. Mancano gli spazi persino e le opportunità spesso per un “faidate” che nella cultura è sempre stato un motore fondamentale. Abbiamo spazi vuoti da destinare ai futuri artisti, e vuoti restano. Abbiamo sale teatrali chiuse, in abbandono da anni, e chiuse restano. Abbiamo un Teatro del Maggio che cerca di sopravvivere in mezzo a mille difficoltà economiche e non riusciamo ad arruolare questo esercito di giovani che potrebbero sostenerlo con le loro mani. Ma per chiamarli a raccolta bisogna fare appunto quell’investimento su di loro che fino ad oggi non c’è stato. Almeno non tale da produrre risultati. A Praga il costo di un biglietto per uno studente che vuole assistere a un balletto si ferma a soli 4 euro, per un’opera ce ne possono volere 8. E’ vero, si vola fino in piccionaia, ma non è sempre stata quella la fucina delle nuove generazioni di artisti e appassionati d’arte? Non è che siamo a zero in questo campo, ma di passi ne dobbiamo fare ancora molti. Qui c’è la MaggioCard, che permetteva di acquisire un biglietto a 15 euro in platea e 10 nelle gallerie per tutti gli spettacoli della stagione 2012, ma solo per averla ci volevano 10 euro. Abbiamo deciso di rinunciare a MaggioDanza e alle sue produzioni, tagliando il cartellone della nuova stagione, quando forse si poteva pensare a proposte finanziabili con l’intervento esterno di sponsor privati, poggiando magari anche su una sottoscrizione popolare. Un euro, cinque, dieci per qualche passo di danza. Una sorta di prepagato. Una forma di acquisto del biglietto prima ancora di produrre lo spettacolo: sulla fiducia insomma. Se non si riesce a consolidare il rapporto tra produzione e consumo culturale Firenze appare destinata a restare legata al suo passato. A vivere di quello e poco più. (Maurizio Abbati)

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