Giornalisti in cerca di futuro.
E di stipendio Dibattito aperto sull’equo compenso. Ma intanto aumentano esuberi e precariato

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Scrivere non è solo un’ambizione, un passatempo, oppure un’arte. C’è chi vorrebbe farne una professione. Ma per questo dovrebbe essere un’attività produttiva, remunerativa, con la quale poter sbarcare il lunario. Come è giusto che sia, perché anche se la penna del giornalista non pesa come una pala o una vanga, si dura fatica. E non è il solo scrivere, ma quello che c’è dietro. La ricerca, l’analisi, la correttezza nel trattare argomenti spesso delicati. La responsabilità – scusate il risvolto etico – verso il lettore. Ma si può essere responsabili, scrupolosi, per 5 euro a pezzo? La correttezza non si vende, è indubbio, ma quello che così si rischia di perdere è la professionalità. Insomma, potremmo contare solo su giornalisti part time, costretti ad altre occupazioni per sopravvivere. Già accade, non è uno scenario futuribile. Ecco perché è apprezzabile l’intento del governo di normare un equo compenso, insomma tariffe minime, che di fatto forse spetterebbe all’Ordine individuare, o far rispettare. Senza contare il fatto che oltre a retribuire bisogna facilitare l’inserimento in un percorso che porti a un contratto di lavoro, magari a tempo indeterminato, combattendo il precariato.

Di questo si è parlato  a Sansepolcro, in un incontro a cui erano presenti il sottosegretario Luca Lotti, promotore del disegno di legge sull’equo compenso, e il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino. La proposta, che dovrebbe entrare in vigore dal 19 giugno, è quella di stabilire per chi scrive sui quotidiani una tariffa minima pari a 20,80 euro lordi a pezzo, con una media di 12 articoli al mese. Se sono di più il compenso può anche scendere. Ma attenzione, perché deve trattarsi di articoli di almeno 1600 battute. E se sono di meno? Il limite retributivo scompare? Il problema è che con il cambiare dei tempi e le esigenze dei giornali, la lunghezza degli articoli tende sempre a diminuire. Soprattutto nelle testate a carattere locale. E la lunghezza di un articolo di per sé non fa il prezzo. Dietro un articolo di mille battute può esserci lo stesso lavoro che su uno di 2mila, con un po’ meno di spreco di inchiostro. Stesso discorso, in peggio, per i siti internet, dove per 40 notizie al mese si può arrivare a prendere 3mila euro l’anno.

C’è poi un altro problema che rimane aperto, quello dei reinserimento degli esuberi. E ce ne sono tanti a spasso, a causa del forfait di tante testate. Esuberi per i quali ritrovare un posto, specie a una certa età, appare un miraggio, visto che le aziende in generale stanno attraversando un processo di riduzione degli organici. E comunque quando cercano rinforzi preferiscono puntare sui giovani, sacrificando l’esperienza. Bisognerebbe applicare facilitazioni più consistenti per chi contrattualizza un giornalista in mobilità e fare in modo che enti pubblici e aziende partecipate alla ricerca di addetti stampa attingano a una “lista d’attesa”, e non graduatoria, per scegliere i loro collaboratori.

E’ da molto che si parla della necessità di evitare che esistano giornalisti di “serie A” e di “serie B”. La sola cosa che cambia è che quelli di serie A diminuiscono e per quelli di B la speranza di una promozione è sempre più lontana. (Ma.Ab.)

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