Forse era più facile la vita tra i pali. Almeno sapevi chi era con e chi era contro di te. Ma soprattutto sapevi quando meriti e demeriti erano tuoi. L’ingresso in politica di Giovanni Galli, nel 2009, fu un lampo a ciel sereno, condito sì da alcuni annunci, ma imprevedibile poco tempo prima. L’operazione fu condotta in prima persona da Silvio Berlusconi, e anche se con qualche mal di pancia da parte di alcuni iscritti al PdL, toccò infine proprio a Galli lanciare il guanto della sfida politica a Matteo Renzi. Una sfida dal sapore sportivo, di quelle difficili da vincere già in partenza. Poi, nel 2011, l’uscita dal gruppo del PdL di Palazzo Vecchio e la formazione di un gruppo civico autonomo. La causa del distacco sarebbe stata il vincolo del tesseramento imposto dal neo segretario Angelino Alfano a tutti gli esponenti politici riconducibili al partito. “Io la tessera non l’ho mai avuta – replicò Galli – e non ho intenzione di prenderla adesso”. Da allora, più volte qualcuno ha ipotizzato anche una sua uscita da Palazzo Vecchio, che non è mai arrivata. Un impegno da portare avanti fino in fondo dunque, fino al novantesimo.
Ma non si è mai pentito di essere sceso in campo? Quello politico intendo?
“Assolutamente no. Una delusione forse sì, l’ho vissuta. Ma resta comunque un’esperienza meravigliosa, che mi ha fatto capire cosa accade in città sotto occhi diversi. Ora ho una conoscenza più diretta di quello che può fare un’amministrazione e mi arrabbio quando una cosa non è stata fatta volutamente”.
Ma quella delusione? Cosa c’è stato, o cosa non c’è stato?
“Mi sarebbe piaciuto avere una collaborazione diversa e un reale confronto sulle cose. Io ho provato a fare quello che i cittadini chiedevano e ho cercato un dialogo, ma le proposte mi venivano bocciate senza motivazione. Forse perché ancora in politica contano più le bandiere dei risultati”.
Senta, in questo momento si fa un gran parlare di primarie, a sinistra ma anche a destra. Cosa ne pensa?
“Non posso che essere favorevole. Le primarie hanno un senso, almeno per quello che ho vissuto io in questi anni. Quanto meno ogni candidato può portare delle proprie proposte sul lavoro da fare”.
Mi faccia fare un riferimento al suo passato calcistico. Firenze e la storica rivalità con la Juve, poi con il Milan. Ma questo nasce dal bisogno di avere un avversario da fronteggiare? Da una voglia di rivincita contro squadre ma anche città più grandi e importanti?
“Nello sport gli avversari ci sono sempre. Ai miei tempi la grande rivale era la Juve, che rappresentava il potere nel calcio e vincere era come il film La classe operaia va in paradiso. Per quanto riguarda il resto, Firenze deve scontrarsi sul campo, scommettendo sulla bravura dei suoi uomini. Non sono le dimensioni di una città che contano in quel momento. E questo vale anche per gli altri aspetti della vita. A volte siamo un po’ provinciali, quando pensiamo che Firenze sia qualcosa di speciale per l’eredità che ci ha consegnato la storia. Ma questo essere speciali va ribadito continuamente, rafforzato dimostrando di possedere ancora oggi delle eccellenze. Che vanno messe in gioco”. (Maurizio Abbati)