Il chachacha delle Province
La riforma può slittare al 2019 Sempre più stretti i tempi per l’approvazione. L’assessore Lepri: ”Entro l’anno andrebbe varvata, poi si torna al voto”

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Un passo avanti e uno indietro, un passo avanti e uno indietro. Sembra diventato un balletto il progetto di riforma istituzionale che dovrebbe portare all’abolizione delle Province, ormai considerate quasi un ente inutile, in eccesso, dopo essere state a lungo una delle architravi del nostro sistema. Eppure, se davvero si vuole dare una spallata e aprire al nuovo cominciando proprio da questi enti intermedi, è più opportuno abbandonare l’andamento lento che ha preso il progetto e cominciare a pigiare sull’acceleratore. Perché i tempi cominciano ad essere quanto mai stretti. Già, perché se non si riesce ad arrivare all’approvazione in Parlamento entro l’anno si rischia di riparlarne nel 2019. Insomma, un ritardo anche di un mese o due nel passaggio parlamentare potrebbe comportare lo slittamento di altri cinque anni, cioè un’intera legislatura. “Questo perché l’anno prossimo qui a Firenze come in molte altre parti è previsto il rinnovo dell’amministrazione. Si andrà dunque al voto – spiega l’assessore provinciale al Bilancio, Tiziano Lepri – per eleggere il Presidente e il Consiglio. E se la riforma non dovesse passare entro fine anno o forse poco più in là non ci sarebbero più i tempi per l’attuazione in vista del voto”. E una volta votato, fine dei giochi. Già, perché diventerebbe impossibile poi rimuovere gli eletti, fino al termine della legislatura. Ciò significa che ogni giorno che passa le Province rischiano di sopravvivere a se stesse, con le stesse funzioni attuali, seppur indebolite nella considerazione generale. E per il presidente potrebbe esserci spazio per un secondo mandato. Anche se affiancato da una giunta ridotta magari a 4 soli assessori dagli attuali 10 e 14 consiglieri da 36.

Se invece il Parlamento approvasse la riforma? “Firenze è una di quelle Province che rischia di meno, in quanto con l’avvento della città metropolitana – dice ancora Lepri – finirebbe per mantenere grosso modo le stesse competenze, e probabilmente potrebbe rimanere anche l’attuale personale”. Unica differenza il presidente, che non sarebbe più eletto, ma la funzione verrebbe esercitata dal sindaco del Comune capoluogo.

Ma gli 850 dipendenti della Provincia cosa dicono di questa spada di Damocle che pende sulle loro teste? “Ovviamente si preoccupano e ci chiedono continuamente di sapere che cosa accade. Da parte nostra cerchiamo di rassicurarli, proprio nella consapevolezza che le attuali funzioni potrebbero rimanere e con esse anche i posti di lavoro. Forse quelli che rischiano di più sono i precari, come i cinquanta circa ad oggi all’opera nei centri per l’impiego. Per loro qualche rischio in più, in effetti, c’è”. (Maurizio Abbati)

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