Il passato viene in soccorso del presente ma apre un grosso punto interrogativo sul futuro, cioè conferma la prevalenza del ruolo museale di Firenze, caratterizzata da un’economia in cui il capitolo turismo appare oggi il salvagente contro il dilagare della crisi economica, che invece colpisce altri settori come l’industria e l’artigianato. Un turismo che nei primi sei mesi del 2013 mantiene il suo passo senzza inciampi, malgrado il crollo del potere d’acquisto delle famiglie. Ed è un turismo che parla soprattutto straniero, come confermano i dati del Centro studi turistici, secondo cui le presenze addebitate ai visitatori in arrivo da oltre frontiera crescono del 2,2%, a differenza di quelle italiane, in calo del 5,6%. In tutto 5,491 milioni di presenze, cioè 12mila in meno rispetto al primo semestre 2012, ma con un incremento degli arrivi di 30mila unità.
In crescita oltre le previsioni gli arrivi dalla Germania (+11%), bene anche il Giappone +7%) e soprattutto la Cina (+22%), mentre gli Stati Uniti fanno registrare un -5%, la Spagna -11%, la Francia -3 e il Brasile -5%.
Interessante il dato sul tasso di occupazione delle camere, dove la parte del leone la fanno gli alberghi a 4 stelle: 71,7% nel capoluogo e 68% su scala provinciale, mentre per i 5 stelle siamo rispettivamente a 57,4% e 54% e per i 3 stelle a 66,4% e 56,3%. Cala infine la spesa media pro-capite dei viaggiatori stranieri da 104,4 a 103,2 euro, ma sale quella pro-capite per viaggio, passando da 467,4 a 512,4 euro.
In prospettiva il 2013 potrebbe andare a chiudersi nella direzione di un sostanziale equilibrio rispetto al 2012, che aveva visto un lieve calo rispetto all’anno precedente. Un dato che se non può suscitare soddisfazione quanto meno è testimonianza dell’appeal di Firenze, penalizzzata soprattutto dal calo vistoso del turismo interno e di alcuni tradizionali mercati come quello iberico e transalpino. I primi segni di una ripresa economica potrebbero tradursi in un rapido recupero dei livelli precedenti, con l’incognita del calo di redditività subito da diverse strutture, che potrebbe creare difficoltà nel programmare gli investimenti necessari per mantenere la posizione e la competitività su scala internazionale. (Maurizio Abbati)