Se l’Italia scopre i “job act” e perde il conto dei disoccupati Nel Centro uno su dieci è senza lavoro, tra i più giovani si arriva al 26,6%

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In politica bisogna sempre inventarsi qualcosa. Così spesso bisogna interrogarsi se quelle idee così ben presentate possano davvero avere gambe o abbiano la sola consistenza di manifesti elettorali. L’ultima invenzione sembra essere il “job act” all’italiana. Presto ogni formazione politica che si rispetti dovrà averne uno. Renzi ha aperto la strada, introducendo anche spunti di un certo interesse volti a liberare risorse e creare dinamismo, ma forse pochi nuovi posti. Alfano da parte sua ne ha già varato un altro tutto suo. E presto arriveranno anche gli altri. Dentro ci sono formule, alchimie che si propongono di rivoluzionare il mercato del lavoro. Ma anche quello del lavoro come ogni mercato si basa sul rapporto domanda-offerta. E da noi la prima è così alta da compromettere ogni equilibrio. Il vero problema crediamo sia fare i conti… con i conti. Cioè con i numeri. E quelli parlano chiaro. Come quelli dell’Istat, che puntando l’indice sul settembre 3013 ci dà una percentuale di disoccupazione a livello nazionale dell’11,3%. A livello di macrozone meglio vanno il Nord-ovest all’8,1% e il Nord-est al 6,8%, mentre il Centro paga di più, fino al 10,2%, per non parlare del Sud, al 18,5%. Se poi si vanno a vedere alcune caratteristiche di questi disoccupati ci si accorge che il 5,5% è senza un lavoro da più di un anno e il 6,3% è formato la laureati. Il che fa venire in mente i giovani, che non hanno un futuro prossimo molto roseo dinanzi a loro, se si considera che nella fascia tra i 18 e i 29 anni nel Centro i disoccupati raggiungono il 26,6%, contro il 21,4 del Nord-ovest e il 18,2% del Nord-est.

Numeri, dicevamo, e questi sono solo alcuni. Quanto basta per capire che non c’è crescita senza nuovo lavoro. E non c’è lavoro senza una ripartenza della produzione, che giusto ora (novembre scorso) ha fatto segnare un ritorno sui valori positivi dopo una striscia di ben 26 mesi in negativo. Ripresa? Chissà. Marchionne da parte sua ha detto che tutti gli operai Fiat, di cui una parte sono in cassa integrazione, torneranno al lavoro negli stabilimenti italiani. Ma ha anche messo le mani avanti precisando: se e quando il mercato lo permetterà. Questo per dire che creare nuovi posti di lavoro è possibile, ma non c’è una ricetta. Soprattutto perché è finita l’era in cui il pubblico poteva permettersi di sostenere l’occupazione direttamente. Tocca ai privati. Che possono essere sostenuti solo creando le condizioni per lo sviluppo. Purché non sia riducendo a zero il peso contrattuale dei disoccupati e azzerando le tutele. (Maurizio Abbati)

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