Consumiamo le suole
ma non il suolo

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Il suolo è il vero patrimonio della collettività e va difeso dagli interessi individuali, perché cessi di diventare elemento di profitto per chi è pronto a sacrificarlo in nome di un presunto progresso fatto di cementificazioni, soprattutto quando il numero delle abitazioni disponibili appare già superiore alla richiesta, per cui di nuove case a dire il vero non ci sarebbe bisogno. Sembra questo il criterio che ha ispirato la Giunta regionale a varare la proposta di riforma della legge 1 del 2005 che ora dovrà passare al voto del Consiglio. Una legge che si propone di ripensare alcuni criteri fondamentali in base ai quali vengono concesse di solito le autorizzazioni a costruire, come il concetto di area urbanizzata, che pone vincoli di gran lunga inferiori a quello di area rurale.

“Una legge che migliora la governance interistituzionale, mettendo a punto in maniera più attenta le coerenze che devono esserci tra le azioni portate avanti in tema di governo del territorio dai diversi soggetti competenti”, ha spiegato l’assessore all’Urbanistica Anna Marson, secondo cui “come Regione Toscana siamo riusciti, primi in Italia a proporre al Consiglio regionale norme che introducono innovazioni significative nel contrasto al consumo di suolo e nel riconoscimento del territorio rurale e del suo valore in quanto tale”.

“La novità rispetto alla legge oggi vigente – prosegue l’assessore – è che abbiamo tradotto quelli che ora sono dei principi molto importanti ma in quanto tali troppo spesso disattesi, in dispositivi operativi quali la definizione di territorio urbanizzato e la netta diversificazione delle procedure per intervenire in territorio urbanizzato e in territorio rurale”. “Il territorio rurale che oggi viene ancora troppo spesso considerato un insieme di lotti da ‘sviluppare’ va concepito come patrimonio territoriale, risorsa fondamentale non solo per l’equilibrio idrogeologico e ambientale, ma anche per l’economia della Regione. Occorre un cambiamento di visione analogo a quello che avvenne tra gli anni 50 e 60 del Novecento grazie anche al contributo di Bianchi Bandinelli, con il passaggio dal riconoscimento di singoli edifici di valore, a quello dei centri storici quali organismi complessi”.

Un altro elemento essenziale è l’accorciamento dei tempi. “Come ha evidenziato l’Irpet – dice ancora Marson – i tempi medi in Toscana per la redazione degli strumenti di governo del territorio sono di 6 anni, un tempo spropositato. Con Anci, Upi e Uncem abbiamo convenuto che 2 anni sono un tempo fisiologicamente più che adeguato e abbiamo deciso di introdurre forti sanzioni alle possibilità di attuare trasformazioni urbanistiche e edilizie per quei Comuni che avviino un procedimento di formazione di un atto di pianificazione senza concluderlo entro questo termine”.

Da sottolineare anche l’attribuzione di nuovi poteri alla conferenza paritetica interistituzionale. “La conferenza – garantisce Marson – sarà in grado di valutare gli adeguamenti realizzati in attuazione delle proprie richieste e in caso di valutazione negativa, l’atto o parte di esso non potrà divenire efficace. Inoltre la conferenza potrà pronunciarsi anche su presunti contrasti con norme di legge e non solo tra piani”.

Resterà da vedere come la nuova legge sarà interpretata dai Comuni, ai quali viene chiesto uno sforzo maggiore in termini di programmazione ma anche di controllo. Ma bisognerà anche fare uno sforzo per progettare un futuro di aree  vaste, cioè cominciare a dettare piani di sviluppo urbanistico a carattere quanto meno metropolitano, superando le logiche ristrette che finora hanno visto territori costretti a indossare funzioni che gli calzavano come abiti troppo stretti. Le periferie non sono i confini di un impero, ma aree preziose di sviluppo troppo spesso condannate a recitare quei ruoli che nessun altro voleva. (M.Ab.)

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