Studio sui batteri resistenti ai farmaci

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Come si formano i biofilm batterici, le aggregazioni complesse che rendono i microrganismi più pericolosi, perché meno vulnerabili dai farmaci? E’ l’interrogativo che si è posto un gruppo di ricercatori del Dispaa (Dipartimento di Scienze delle Produzioni agroalimentari e dell’Ambiente), coordinati da Stefano Mancuso (nella foto), professore associato di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree, e Carlo Viti, associato di Microbiologia agraria; al lavoro ha partecipato anche l’Istituto Nazionale di Ottica del Cnr. Il risultato dello studio, pubblicato sul Journal of the Royal Society Interface, indica nella segnalazione elettrica fra le cellule batteriche la causa della loro trasformazione da cellule separate e fluttuanti in un mezzo liquido in strati di biofilm, in cui i batteri sono legati gli uni agli altri e connessi a una superficie solida (di tipo biologico o inerte) attraverso un tessuto connettivo. “I batteri che si trovano nello stato di biofilm, invece che nella normale forma galleggiante, o planctonica – spiega Mancuso – possono essere fino a 4.000 volte più resistenti agli antibiotici. Capire come i batteri mutino stato, da quello planctonico verso lo stato aggregato – continua Mancuso – ha importanti implicazioni pratiche in medicina, dove i biofilm batterici inducono problemi da varia natura, che vanno dalla banale placca dentale alle molto più serie infezioni perniciose su impianti solidi come ad esempio i cateteri venosi”.  “I risultati ottenuti – conclude Mancuso – indicano che l’analisi dell’attività elettrica batterica durante la formazione di biofilm può fornire un nuovo importante strumento sia per la comprensione dell’emergenza dei comportamenti batterici collettivi che per la possibilità pratica di prevenirli”.

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