Diploma, inutile pezzo di carta
Sale l’abbandono scolastico Secondo i dati della Regione, in Toscana lascia il 18,6% dei ragazzi. Ma per i maschi siamo quasi a uno su 4

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Rimanere a scaldare i banchi quando in famiglia si comincia ad avvertire il disagio di non riuscire più ad arrivare a fine mese e l’istruzione sembra non poter dare alcuna prospettiva, se non quella di andare ad infoltire le fila dei disoccupati, può apparire per qualcuno una perdita di tempo. E come dargli torto. In fondo è questa la fotografia della realtà nazionale, dove diplomati e laureati trovano lavoro con sempre maggiore difficoltà. E’ forse dall’analisi di questa situazione che bisogna partire per leggere e capire i dati della ricerca condotta e diffusa in questi giorni dalla Regione sull’istruzione, che evidenzia un aumento della dispersione scolastica. La Toscana in questo senso risulta addirittura tra le regioni italiane con valori più alti di abbandono prematuro degli studi: 18,6% contro il 18,2% nazionale, e un trend non favorevole, soprattutto nell’ultimo periodo. Addirittura la percentuale di abbandono sale in maniera notevole se si considerano i soli maschi (23,4%), che tendono lasciare la scuola più facilmente rispetto alle femmine (13,6%). A questo si aggiunge l’incremento dei cosiddetti Neet – Not in Education, Employment or Training, cioè la percentuale di popolazione tra i 15-29 anni che non risulta né occupata, né in un percorso di istruzione formazione di qualsiasi tipo, escluso l’autoapprendimento, un fenomeno in questo caso più diffuso tra le donne che tra gli uomini. In Italia siamo al 22,7% (media Ue intorno al 15%), che si traduce nel2011 inoltre 2 milioni di persone. I valori toscani sono al di sotto della media nazionale, ma dal 2007 al 2011 la crescita è stata superiore a quella di altre regioni, raggiungendo il 16,4% (uomini 13,4% donne 19,4%). Non positivo anche il dato che riguarda gli alunni in ritardo rispetto al regolare percorso di studi: nel 2011 sono quasi 63mila, 15,59% degli iscritti. Anche in questo caso il fenomeno è in aumento negli ultimi cinque anni e riguarda soprattutto le scuole secondarie, specie quelle di II grado.

“Il dato sull’abbandono scolastico è indicativo – ha commentato la vicepresidente della Regione Stella Targetti – perché va integrato con i dati su chi ha scelto il percorso della formazione professionale e di chi si è trasferito in altre regioni. Ma più che il valore assoluto ciò che conta è la tendenza, che purtroppo è in aumento. E’ un segno del crescente disagio sociale e allo stesso tempo ne è la causa. Chi lascia la scuola infatti non manifesta solo un disagio, ma è destinato a viverne anche di peggiori in futuro, perché abbandonando gli studi diventerà poi più difficile entrare nel mondo del lavoro e stare nella società, visto che tra i banchi si sviluppano competenze anche sociali. Anche per questo motivo – ha proseguito – la prima risposta al disagio sociale è proprio la scuola, perché è il luogo privilegiato per aggredirlo”. Ma è la frattura tra scuola e lavoro che va ricomposta, e purtroppo si tratta di una frattura che in Italia resiste da molti anni, senza che nessuna cura o riforma abbia contribuito a sanarla. La domanda a cui dobbiamo rispondere è oggi quale sia davvero il valore della scuola e dell’istruzione, ma non solo in senso teorico e filosofico. Dobbiamo garantire sbocchi concreti a chi esce dalla scuola con un titolo di studio e una retribuzione adeguata. Qui da noi non accade nessuna delle due cose e le professioni intellettuali sono andate incontro a una progressiva mortificazione. Per cui la scuola non appare più neanche come una forma di riscatto sociale. E l’abbandono non ne è che una conseguenza. (Maurizio Abbati)

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